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Slow motion - Mondi che si attraversano

25 Agosto 2025

Fabio Sebastiani

Uno sguardo può cambiare una persona quando viene osservata, ma può anche cambiare colui che osserva, e il teatro può essere il luogo dove questi sguardi si intrecciano.

Ed è proprio questo incrocio di sguardi che offre a chi calca il palco la possibilità di presentarsi in un modo che va oltre la visione convenzionale, senza però rinunciare a portare sulla scena la propria realtà e verità. 

Ed è in questo modo che fra incontri e narrazioni, un gruppo di migranti e residenti si è fatto materia, trasformando storie vissute e desideri in arte scenica. Sotto la guida della regista Magali Tosato e con Alessandra Ardia, Anderson Barragan, Brahim Ftaoui, Damiana Chiesa, Farukh Leqa Haidari, Francesca Esser, Gaby Lüthi, Hector Gibran Contreras, Jorge Felix Guia Malet, Lea Conconi, Liliana Fontana e Natalia Fantoni, le esperienze individuali si sono intrecciate in una narrazione collettiva, dando vita a uno spettacolo autentico e profondamente umano. Il risultato è Slow motion, un appuntamento che dà forma al più profondo dei sensi di questa edizione: mondi che ci attraversano.

​Questo progetto prende vita grazie al sostegno della Commissione federale della migrazione attraverso il bando Nuovo Noi – cultura, migrazione, partecipazione e del Programma di Integrazione Cantonale (PIC). La sua realizzazione ha visto la collaborazione attiva delle associazioni Mendrisiotto Regione Aperta e Fabbrica di Ospitalità.

Lo spettacolo di restituzione lo possiamo suddividere in quattro momenti distinti fra di loro.

All’inizio i membri del laboratorio, con microfono alla mano, si presentano direttamente al pubblico. Dicono come si chiamano, raccontano da dove vengono e le origini della propria famiglia; c’è chi parla tranquillamente in italiano, chi legge un foglio stampato, chi parla inglese e chi si esprime unendo più lingue. È un momento estremamente semplice e diretto, senza artefizi teatrali.

Dopodiché si prosegue attraverso una successione di quadri che catturano lo scandire della quotidianità in un centro di accoglienza, rivelandone le sfumature più intime e nascoste. Il pubblico diventa così una mosca all’interno del centro che osserva le persone che lo vivono. Vede la burocrazia, i turni per la doccia e la mensa, la difficoltà nel comunicare e nel riuscire a creare attività che smuovano la tediosa quotidianità. Si vedono i tentativi di rendere meno amaro il limbo di incertezza nel quale vivono i migranti nell’attesa di sapere se la loro richiesta verrà accolta, o respinta, o se verranno spostati in un altro centro di accoglienza ricominciando tutto da capo. Ma è proprio dallo scorrere di questi frammenti che emerge un forte senso di solidarietà umana, un sentimento molto sincero trasmesso continuamente al pubblico con gesti piccoli e delicati ma che lasciano il segno. 

Dal centro di accoglienza il pubblico viene nuovamente spostato all’interno di una fiaba: in una foresta su una montagna, una bellissima principessa incontra un triste orso, il quale desidera diventare un coniglio per non spaventare più nessuno ed essere così accolto ed amato. Trovano così una strega che dopo un paio di tentativi riesce a trasformarlo in un essere umano. Anche se non è riuscito a diventare un coniglio la principessa gli dà speranza, rassicurando sul fatto che esisterà sempre un posto pronto ad accoglierlo. La fiaba diviene il simbolo di un anelito universale: la ricerca di un luogo da chiamare casa, un sogno che accomuna sia chi è in cerca di un rifugio che chi si adopera per costruirlo.

L’ultimo luogo dove il pubblico viene accolto è al “caffè delle separazioni”.

Un caffè che si vanta di poter far lasciare le coppie in un minuto. Ed è effettivamente quello a cui si assiste. In un solo minuto, ogni  coppia che si siede litiga, discute, e si separa; ogni rottura è poi accompagnata da un batti cinque per festeggiare l’aver rispettato i tempi di rottura. Si procede fino all’ultima rottura con il pubblico, che conclude così lo spettacolo.

Questo momento finale che appare puramente comico si fa invece materia di un aspetto della vita nel centro di accoglienza. Vale a dire che tu non puoi mai sapere se le persone con cui passi le giornate rimarranno accanto a te, dove finiranno, dove andranno e devi essere sempre pronto a lasciarle andare.

Al termine della rappresentazione si è tenuto un incontro tra i membri del laboratorio teatrale e il pubblico moderato da Rebecca Simona. Si è creato così uno spazio condiviso di sincera emozione e commozione, permettendo a tutti di esprimere sensazioni e riflessioni. Gli stessi interpreti ci hanno fortemente tenuto a sottolineare quanto questa esperienza abbia fatto loro bene e contribuito ad una crescita personale.

Questo laboratorio è la dimostrazione di come il teatro può superare le barriere del linguaggio e della provenienza, trasformando l’incertezza e la quotidianità in un racconto. 

In un mondo che continua ad alzare muri, spazi ed esperienze come Slow Motion possono diventare degli strumenti per abbatterli. Strumenti che permettono di tornare a porre uno sguardo umano verso delle persone che talvolta vengono viste unicamente come numeri, e non esseri umani.