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“Che cos’è la drammaturgia oggi?”

20 Agosto 2023

Carola Fasana

Chicco Dossi, drammaturgo e regista di “Nell’occhio del labirinto”, per esempio, nella sua drammaturgia cerca di unire il filone del teatro civile di narrazione con quello del teatro di regia in cui il corpo dell’attore ha una sua forza nello spazio. In questo contesto il copione scritto è qualcosa che arriva in sale prove così come è stato scritto in quanto già pensato dall’autore-regista per poter dare una direzione all’attore. Nell’occhio del labirinto, è un monologo in versi sciolti: Dossi ricorre al verso come un  sistema all’interno del quale permettere all’attore di lasciarsi guidare e allo stesso tempo di sperimentare. “Il verso mi dà una musicalità e una rete nella quale l’attore si trova protetto e in cui può però muoversi liberamente”. Simone, interprete dello spettacolo, si propone di trasmette la potenza drammaturgica in scena appropriandosi del testo e “scornandosi in maniera proficua con il regista e con il drammaturgo”. La drammaturgia, seppur testo scritto, è, infatti, viva e in perenne trasformazione: viene trasformata dal regista che ci mette mano e poi nuovamente dall’attore che se la veste addosso.

 

Gli spettacoli di Nicola Borghesi e della compagnia Kepler-452, nascono, invece, da un tarlo, un’ossessione così profonda e pungente che chiede di essere seguita, ha sete di conoscenza e risposte, non intende saziarsi facilmente. Sono le cose che accadono nel reale a ispirare questa instancabile voglia di sapere di più, infatti, “la realtà è molto ben organizzata drammaturgicamente se tu la sai guardare”. E la compagnia Kepler-452 fa proprio questo: va nel cuore degli avvenimenti e guarda dall’interno con una totale immersione in cui i confini tra vita e teatro si confondono. Per Il capitale sono andati a  vivere due mesi in una fabbrica occupata; per Gli altri. Indagine sui nuovissimi mostri. si sono calati nel mondo dei social alla ricerca del pizzaiolo di Lampedusa che aveva crudamente urlato a Rackete che dovesse essere violentata dai “neri”. All’inizio non esiste un testo, ma viene costruito man mano. La realtà viene poi portata nella sala prove attraverso improvvisazioni e lì ascoltata fino a quando, a partire da chi le guarda da fuori, non “succede qualcosa” che svela direzione da prendere. “La drammaturgia la fa chi passa” sostiene Borghesi attraverso un dispositivo ovvero quella cosa che si fa “per trasformare ciò che ti è successo con le persone attorno a te in teatro”. In altre parole: cosa si fa con quello che accade davanti ai nostri occhi? Da dove si parte per scrivere? Il reale è sufficientemente interessante?

 

Queste sono le stesse domande che muovono visceralmente gli allievi e le allieve di Luminanza, dice Matteo Luoni. Luminanza è un percorso formativo di un anno, alla terza edizione in cui “tirano su, letteralmente dei giovani in Ticino” per trasformarli in autori/autrici che siano in grado di mettere al mondo qualcosa di nuovo. Una difficoltà riscontrata dai giovani drammaturghi/drammaturghe è proprio quella di conciliare il desiderio di curiosità personale e la necessità di raggiungere il pubblico.

 

La drammaturgia è quindi un modo per definire la propria identità non solo personale-caratteriale ma anche linguistica. Qui, sottolinea Alan Alpenfelt, questo è un aspetto particolarmente importante in quanto la Svizzera Italiana è regione linguistica minoritaria ed è posto al confine con un paese in cui la lingua italiana è la lingua nazionale. Il drammaturgo ticinese si trova pertanto a doversi confrontare con una domanda in più: in quale lingua scrivere, e in base ad essa dove esportare poi il proprio testo.

 

 

Tante drammaturgie possibili, tante lenti sotto cui analizzare la stessa realtà e da cui srotolare con curiosità ogni realtà possibile e tante possibili versioni di sé.