XXI
Festival
internazionale
di
narrazione
Arzo,
Tremona e Meride
19—22 agosto
2021
Journal
23 Agosto 2021
Giacomo Stanga
Una parola, un’immagine
Con Marco D’Agostin, autore e interprete di «First Love», si è parlato anche di scambio culturale tra danza contemporanea e teatro di narrazione. In dialogo con Nunzia Tirelli, coreografa e danzatrice, un piccolo approfondimento sul rapporto tra voce e corpo, sul dialogo tra sport e creazione artistica e sulla relazione che si crea con il pubblico durante lo spettacolo.
22 Agosto 2021
Giacomo Stanga
La scimmia siamo noi
Sabato sera il pubblico del Festival ha avuto il piacere di ammirare «La Scimmia», una riflessione sulla natura umana mediata da un grottesco personaggio da commedia, un essere ibrido che ci porta a interrogarci sulle nostre scelte e sulla nostra – attiva o meno – partecipazione alla narrazione dominante. Alcune riflessioni sull’incontro tra Giuliana Musso, attrice e autrice dello spettacolo, e Sofia Perissinotto.
21 Agosto 2021
Giacomo Stanga
Un teatro all'ascolto
Avviato nel novembre del 2020 in collaborazione con il Telefono Amico Ticino e Grigioni Italiano, il progetto «Pronto? Io ci sono» della compagnia Grande Giro ha esordito al Festival di Narrazione, portando sul palco storie, esperienze e racconti legati alla nascita e all’attività del presidio telefonico 143. Un breve approfondimento, in conversazione con attore e attrici, sui metodi di lavoro e sul rapporto tra il teatro e la realtà.
20 Agosto 2021
Giacomo Stanga
Nel nome di quale padre?
Mario Perrotta, qualche ora prima di aprire la ventunesima edizione del Festival di Narrazione, ha dialogato con Laura Di Corcia per approfondire il lavoro di ricerca – non solo teatrale – che ha portato alla scrittura e alla messa in scena di «Nel nome del padre» e, dalla riflessione sulla genitorialità e sui rapporti sociali che la circondano, sono emersi molti sintomi di disfunzionalità (non solo individuali, anzi) e qualche sincero messaggio di speranza.
1 Settembre 2019
Mara Travella
Incontrarsi su di un palco
Intervista agli attori che hanno portato in scena Thioro. Un cappuccetto rosso senegalese, una coproduzione Teatro delle Albe, Ravenna Teatro, Accademia Perduta, Romagna Teatri, Ker Théatre Mandiaye N'Diaye
1 Settembre 2019
Mara Travella
Raccontare «rimanendo sul confine»
Intervista con Stefano Beghi e Marco Prestigiacomo, voce e musica di due spettacoli – Rimanendo sul confine. Ovvero: la volta che rincorsi il fante di cuori e Simplon (Produzione KaraKorum teatro) – ospiti alla ventesima edizione del Festival.
1 Settembre 2019
Mara Travella
Storia di una ragazza eccezionale
Intervista a Monica Ceccardi a proposito de Il taccuino di Simone Weil, spettacolo preserale andato in scena ieri al cortile della Contessa.
31 Agosto 2019
Mara Travella
Le Clarisse che potremmo essere
Intervista a Marta Cuscunà e Marco Rogante su La semplicità ingannata, andato in scena ieri sera alla Cava Broccatello.
3 Settembre 2018
di Mara Travella
Questa è la bella vita che ho fatto
Una trilogia chiamata Terra Matta. Una voce, una sedia. Stefano Panzeri sulla scena non ha nient’altro, perché il resto è riempito dalla storia di Vincenzo Rabito, un bracciante siciliano semianalfabeta, autore di un’autobiografia tanto lunga e intensa da essere divisa in tre momenti (1899 – 1918; 1918 – 1943; 1943 – 1968).
2 Settembre 2018
di Mara Travella
L’idea un po’ scanzonata di fare il cantastorie
Dopo lo spettacolo l’attore ci ha raccontato un po’ di quello che sta dietro «Transumanze»: le passioni, gli intenti, le ricerche da cui nasce questo spettacolo.
1 Settembre 2018
di Mara Travella
«Io mi rinasco»
Abbiamo fatto una chiacchierata con le cinque voci – quelle di Francesca Cecala, Miriam Gotti, Barbara Menegardo, Ilaria Pezzara, Swewa Schneider – protagoniste di Piccolo canto di resurrezione, della compagnia Associazioni Musicali si cresce, andato in scena ieri sera all’OSC di Mendrisio. Si è cercato di capire come è nato lo spettacolo, che importanza ha il canto e perché l’urgenza di parlare oggi di resurrezione.
1 Settembre 2018
di Mara Travella
A suon di violoncelli
Una breve intervista con Milo Ferrazzini, uno dei membri del gruppo TheXcellos
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23 Agosto 2018
Conferenza stampa
Questa mattina alle 11:00 si è tenuta a Mendrisio la conferenza stampa del nostro Festival, un incontro che ha l’obiettivo di dare un’idea di quello che accadrà da giovedì 30 agosto a domenica 2 settembre ad Arzo.
Una parola, un’immagine
23 Agosto 2021
Giacomo Stanga

Marco D’Agostin, gettando uno sguardo retrospettivo sulla sua carriera e sulla sua formazione, ci racconta di aver iniziato a danzare soltanto a 20 anni; fino ai 17 è stato sportivo d’élite, cimentandosi nello sci di fondo e nello Skiroll – gli è rimasta in quella artistica, constata, l’abitudine alla marginalità della sua disciplina sportiva – , e solo dopo quasi 4 anni di stop totale si è rimesso in gioco, cominciando la formazione che l’ha portato oggi a essere autore e performer. Sia questo iato, durante il quale la sua voglia e le sue aspettative hanno poi portato a una vera e propria esplosione di energia nei suoi primi lavori, sia le esperienze precedenti del suo corpo, che gli hanno lasciato una struttura fisica alterata (non da ultime 3 – poi 4 – ernie del disco) e dei limiti attorno ai quali ha dovuto ricostruire la sua struttura di danzatore, lasciano tracce indelebili e fondamentali nel suo stile e nel suo modo di pensare, imbastire e portare in scena le sue opere.
Come spesso capita nelle materie intimamente poetiche, proprio i limiti e le restrizioni imposte sono i punti di snodo dove l’artista agisce più liberamente, e D’Agostin ha fatto del paragone con la gara e con l’ambiente competitivo un punto di forza, un metodo di lavoro – alla fine del suo spettacolo il performer è stravolto, esaurito anche fisicamente, e nelle modifiche fisiologiche della stanchezza (oltre all’istintiva empatia) il pubblico sente una connessione particolarmente forte, quasi un coinvolgimento diretto nello sforzo che gli viene presentato – e infine, con questo spettacolo, un vero e proprio tema al centro della scena. In First Love, infatti, il corpo del performer utilizza il modo in cui si è formato e il ricordo di quel tipo di fisicità per traslarli dal loro ambiente d’origine (la montagna) a un nuovo spazio d’azione (la scena): da una parte il lavoro sul ritmo di sciata e la ricerca dei pattern nascosti nei movimenti appresi, per portare esplicitamente lo sci di fondo davanti al pubblico, dall’altra una ricerca sul corpo che si ricorda dei paesaggi, che si fa albero, neve, pista e permette di uscire dalla grafia per dipingere un’impressione, una sensazione altrettanto familiare e nostalgica ma più sottile, delicata.
La gara che il danzatore riproduce sul palco è quella, epica, di Stefania Belmondo alle olimpiadi di Salt Lake City, e a ricordarcelo è soprattutto la voce, che ripercorre l’altrettanto epica telecronaca di quell’evento, iscritta nella mente di D’Agostin da innumerevoli visioni della vecchia cassetta sulla quale continuamente torna per fascinazione prima e per lavoro poi. L’autore aggiunge che il gioco con la voce (che è tornato a inserire nei suoi spettacoli grazie a molte influenze che, durante la sua formazione, gli hanno insegnato a non diffidare dell’ibridazione e della sperimentazione, purché sul palco ci sia uno scambio di energia tra performer e pubblico) è molto legato all’infanzia, all’imitazione ironica, al camuffamento, e che il testo è anche una reminiscenza del momento della visione della gara, una voce che proviene più dal ricordo soggettivo, contribuendo al taglio nostalgico che ammanta, proprio come la neve, tutto lo spettacolo: sì perché, dal racconto dell’agone sportivo, si viaggia nella direzione appunto del primo amore, del segno che lascia in noi la prima grande passione, il primo àmbito in cui ci capita di investire con totale abnegazione tutti noi stessi e tutte noi stesse. Parafrasando le parole dello stesso autore, in ogni persona troviamo temi ricorsivi, come dei ritornelli, dei quali serve prendere consapevolezza e, alla resa dei conti, l’unica via per liberarsene sarà quella di distruggere la canzone; ma la distruzione non è mai fine a sé stessa, anzi, va a braccetto con la presa di coscienza del fatto che quella canzone, quel tema, quel primo amore ancora ci appassiona e ci commuove con rinnovate modalità e intensità diverse.
In conclusione riprendiamo, per condividerla con la medesima convinzione, la riflessione di D’Agostin dalla quale è estrapolato il titolo di questo scritto: parlando del suo approdo al Festival, inaspettato visto il tipo di spettacoli che egli solitamente scrive e interpreta, ci ha rivelato di essere particolarmente contento proprio perché l’incontro tra due realtà così simili eppure a volte così distanti gli sta molto a cuore, ed è convinto sia di andarsene lasciando qui un qualcosa, sia di portare altrove qualcosa di qui; fosse anche solo una parola, un’immagine.
Anche a tutte e tutti voi, lettori e lettrici, speriamo che, dopo il ritorno del pubblico a teatro, questo ritorno del teatro tra il pubblico, nei paesi, nelle vite abbia lasciato una traccia, una sensazione: come se, per stare bene insieme ed essere felici di ogni piccola cosa, a volte bastasse esprimere un desiderio e contare fino a tre.